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Barcellona con un piede in finale

Decisiva la doppietta di Leo Messi goal

La partita giocata martedì sera al Bernabeu era senz’altro una delle più attese dell’anno. Barcellona contro Real, Messi contro Cristiano Ronaldo, Guardiola contro Mourinho. Una rivalità accesa anche oltre la tradizione, che si rispecchia in stili di gioco completamente diversi, in un diverso modo di intendere il calcio.

Palla a terra, triangolazioni veloci e facilità di saltare l’uomo per il Barcellona; dinamismo, aggressività e capacità di capitalizzare al massimo le occasioni disponibili per il Real. A riprova della qualità tecnica di entrambi gli allenatori (indipendentemente dalle dichiarazioni extra-calcistiche), le due squadre hanno giocato cercando di esaltare al massimo le qualità dei propri migliori giocatori: Messi e Xavi da una parte, Ronaldo e Di Maria dall’altra.

Messi può diventare assolutamente incontenibile palla al piede (sia pur non mancando, come dimostra il primo gol, della capacità di inserirsi) e dunque necessita di essere servito con passaggi poco rischiosi, possibilmente rasoterra, anche distante dalla porta. L’arretramento del suo raggio d’azione, da punta pura a centravanti arretrato, lo ha infatti portato quest’anno a un rendimento assolutamente straordinario anche dal punto vista realizzativo: più di 50 gol in stagione, 11 centri in 11 partite di Champions League.

Allo stesso modo Xavi si esprime al massimo se può liberarsi del pressing (e anche per questo ha patito leggermente l’assenza del suo miglior appoggio a centrocampo, Iniesta, con cui si trova spesso a scambiare) e dunque gradisce palloni semplici, anche in una zona apparentemente non pericolosa. A riprova di ciò, possiamo osservare come le più brillanti azioni del Barcellona abbiano origine da un possesso di palla prolungato e, solo apparentemente, sterile, fino a quando uno o più tra i numerosi campioni a disposizione di Guardiola non accelerano improvvisamente il ritmo del gioco.

Viceversa, Ronaldo e Di Maria fanno della velocità e della progressione le loro armi migliori, dunque danno il massimo se lanciati in profondità, con una palla a tagliar fuori il difensore diretto o anche a scavalcare, data l’ottima abilità nel gioco aereo (specie di Ronaldo). In poche parole, il Barcellona ha interesse a dominare il centrocampo, il Real a utilizzarlo come mero punto di passaggio e, soprattutto, per il recupero del pallone, che può lanciare il contropiede.

Comprensibile dunque la scelta di Mourinho di puntare, proprio in quella zona del campo, sugli incontristi, come Xavi Alonso e, in questa circostanza, Pepe. Meno comprensibile, forse, la rinuncia a un contropiedista eccezionale come Kakà, capace di grandi accelerazioni e che avrebbe probabilmente procurato qualche grattacapo in più a Piquè, Puyol e compagni rispetto a uno spento Ozil.

Al di là dell’analisi tattica però, la partita si decide, come spesso accade, in pochi momenti: forse tre. L’espulsione di Pepe, probabilmente severa. Il primo gol di Messi, a seguito di uno spunto di Afellay, appena entrato. Ma, soprattutto, il secondo gol del campione argentino, che chiude la partita e spinge il Barcellona con più di un piede nella finale di Champions League 2011.

Per il secondo gol non serve scomodare tattiche o schemi: solo una pulce inafferrabile che salta mezza difesa e, mancino, appoggia la palla col piede destro nell’angolino, dove Casillas proprio non può arrivare. Forse il calcio è così seguito anche perché se ne può parlare per ore, senza ragione né torto, ma solo con la gioia di discutere di un gioco. Ma se c’è qualcosa di cui discutere, qualcosa per cui valga la pena passare una sera davanti alla TV, lo si deve ai giocatori che, quando ti aspetti una cosa, ne fanno un’altra, o magari un’altra ancora. Quelli come Messi.

Damiano Verda

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